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Rosso Alfa Vintage


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Storia

Bisogna conoscere il passato ... per dare risposte al futuro

Tra le leggende che avvolgono la storia dell'automobilismo c'è quella di Henry Ford, che al passaggio di un'Alfa Romeo si toglieva immancabilmente il cappello. Un segno di rispetto non eccessivo per una marca che fin dagli albori ha saputo adornarsi di un'aura d'eccellenza meccanica che il trascorrere dei decenni non è ancora riuscito ad affievolire. Una scelta di campo che ha contraddistinto l'attività dell'azienda milanese fin dagli inizi, anzi da prima, se è vero che Giuseppe Merosi cominciò a progettare la 12 e la 24 HP senza che la società fosse ancora costituita. Merosi cominciò infatti a studiare le due vetture con qualche mese d' anticipo rispetto a quell'autunno del 1909 quando un gruppo di finanzieri lombardi, "garantiti" dalla Banca Agricola Milanese, acquisì il controllo della consociata italiana della francese Darracq. Ma l'Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, da cui l'acronimo Alfa e la scelta delle insegne araldiche della Milano comunale come marchio, vide la luce soltanto nel giugno dell'anno seguente. Nel 1911 debuttò ufficialmente la 24 HP alla quale Merosi aveva garantito, sotto l'aspetto di una vettura da turismo, prestazioni degne di una sportiva.

Lo stabilimento A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) del Portello

Lo stabilimento A.L.F.A.

Nasceva così, più dalle preferenze personali del progettista che da una precisa scelta aziendale, il connubio che ha fatto apprezzare le auto del Biscione in tutto il mondo. Nel 1915 il napoletano Nicola Romeo ottenne dalla Banca Nazionale di Sconto il controllo del Pacchetto Alfa ceduto all'istituto di credito dai precedenti azionisti. Nel 1919 Romeo si lasciò convincere a tornare, dopo la parentesi bellica, alle automobili. Ancora una volta Merosi tirò fuori dal cilindro la carta vincente, quella RL che tanti successi raccolse e sul fronte commerciale e su quello agonistico. Fu poi la volta della P2 di Jano e della 6C che segnò l'ingresso della fabbrica milanese nel campo delle medie (anzi per quei tempi piccole) cilindrate senza per questo rinunciare alle caratteristiche meccaniche che avevano costruito la fama della marca. La 6C montava un 1,5 litri derivato dal motore della P2, depotenziato, con due cilindri in meno, e che adottava tanto un solo albero a camme, quanto un albero a camme doppio. L'esordio della 6C coincise con un momento delicatissimo nella storia dell'Alfa: il Fallimento della Banca di Sconto portò l'azienda sotto il controllo dello Stato attraverso quello che nel 1933 sarebbe diventato l’IRI.

Affidata al genio direttivo di Ugo Gobbato, l'Alfa conobbe un periodo di grande rinnovamento e riorganizzazione aziendale. Anche la gamma fu adattata alle nuove esigenze del momento: la 6C 1750 univa alla grinta il comfort richiesto dalle nuove generazioni di automobilisti meno propensi agli eroismi dei loro predecessori. La stessa filosofia costruttiva si ritrova nelle successive 6C 1900 e 2300 e, a ben vedere, nei modelli attuali. Fu poi la volta, sotto la gestione Colombo-Ricart, della 8C mentre a Orazio Satta Puliga si deve la rinascita dell'Alfetta, che segnò il ritorno della Casa alle glorie sportive dopo la seconda guerra mondiale.Gli anni Cinquanta furono segnati dalle oltre ventimila 1900, la prima vettura con carrozzeria portante dell'Alfa, ma soprattutto dall' indimenticata Giulietta che portò il Biscione al secondo posto in Italia per volume di produzione. Negli anni Sessanta la Giulia e la 1750 imposero il trasferimento degli impianti ad Arese mentre nel 1967 prese avvio l'operazione Alfasud che nel 1971 sbocca nella presentazione della vettura omonima. L'operazione, concepita insieme ai governi italiani dell' epoca, aveva come fine il rilancio occupazionale nel Mezzogiorno, e si concretizzo' con la costruzione degli stabilimenti di Pomigliano d'Arco, una località nei pressi di Napoli.Per la progettazione della nuova vettura Alfa, l'Alfasud appunto, venne ingaggiato un ingegnere austiaco che aveva collaborato in passato con Porsche e Volkswagen, Rudolf Hruska. Hruska, insieme al suo piccolo team, sviluppò un'auto dalle dimensioni contenute, a trazione anteriore e spinta da un motore boxer (che poi sarà ereditato dall' Arna e dalla 33) destinata ad una fascia medio-bassa di mercato; l'auto però non ebbe il successo auspicato, così come la fabbrica in cui era costruita, che incontrò diversi problemi nei suoi primi anni di vita e che non ha mai lavorato a pieno regime. Ma il peggio doveva ancora venire, e, nel 1981, prese il nome di Arna. L' Arna nacque da una collaborazione scellerata tra Alfa Romeo e Nissan: il progetto prevedeva la nascita di un' auto con caratteristiche comuni fra Alfasud e Nissan Cherry, e che sarebbe stata commercializzata in Italia e in Europa col marchio di Arese, e in Giappone con quello nipponico. In realtà nacque un ibrido che univa il peggiore (come se ce ne sia mai stato uno migliore!!) design giapponese e un malinterpretato spirito italiano, che non piacque minimamente al pubblico, e che sicuramente non sarà ricordato negli annali della storia dell' Auto.
Le sorti furono risollevate dalla 33, una vettura notevole nel design e nella tecnica che ha invece suscitato il favore del pubblico, e il cui nome richiamava quella Tipo 33 che nel lontano passato ci aveva regalato 2 Campionati del Mondo. Nella fascia media aveva intanto visto la luce l'Alfetta(1972), una tre volumi dalla linea azzeccatissima e soprattutto dalle raffinatissime soluzioni tecniche ( fra cui lo schema transasse), che assicuravano a lei e al suo coupè (l'Alfetta GT) un' eccezionale tenuta di strada. Su un pianale simile fu concepita la Giulietta del '77, anch'essa contraddistinta da una linea piacevolissima, e caratterizzata dall' accenno di spoiler in fondo alla vettura ( il "baffo"). Fu quindi la volta, nella prima metà degli anni '80, della 90 e della 75, due vetture che continuarono a far sognare gli appassionati per la loro linea, per quella trazione posteriore oggi tanto rimpianta dai più, e per quel "canto" che emetteva il meraviglioso motore quando superava i 3500 giri!! La 90 e la 75 sono ricordate come le ultime Alfa Romeo a trazione posteriore, un'impostazione tanto amata dagli appassionati della guida, adottata dalle vetture di un certo tipo ( BMW, Mercedes, e naturalmente Ferrari, Maserati, Lamborghini, Venturi, Porsche, MG etc.), ma che e stata sacrificata sull' altare delle sinergie all'interno del gruppo Fiat. Arriviamo quindi al 1986, anno in cui l' Alfa fu messa in vendita dall' IRI, e diede inizio ad una sfida fra Ford e Fiat: in un primo momento sembrò che la prima dovesse prevalere, poi però ebbe la meglio il gruppo di Torino. Primo frutto di questo nuovo assetto, fu, alla fine degli anni '80, la 164, prima Alfa Romeo a trazione anteriore prodotta nelle fabbriche del Nord; la vettura, disegnata da Pininfarina, riuscì molto bene, ed ha meritatamente avuto grosso successo. Nasceva dalla collaborazione fra Alfa Romeo, Lancia e SAAB, che svilupparono insieme il pianale ( Tipo 4 ) su cui sono state sviluppate la 164, appunto, la Thema e la 9000. Nasce insieme alla 164 anche quella linea frontale che contraddistingue a tutt'oggi le auto di Arese, con quella sagoma sul cofano che sembra far confluire tutto il muso nello scudetto sulla calandra. Il 1992 vede invece la presentazione della 155, altra macchina molto bella, nata sul pianale della Fiat Tipo e che, oltre ad un buon successo di pubblico, collezionò anche successi sportivi, vincendo il DTM nel '93 e il BTCC ( il Superturismo inglese ) nel '94 con Tarquini. Il pianale della Tipo ha dato vita anche alla 145 e alla 146, e eredi della mitica 33, due auto simili per carrozzeria e uguali per impostazione meccanica.Il Gruppo Fiat ha affidato all'Alfa il settore di clientela che le è più congeniale: quello degli appassionati della guida che da un'auto pretendono personalità, prestazioni sportive e comfort.

NUVOLARI

Rarissima foto del 1933:
Mussolini prova l' ALFA P3 con la quale Nuvolari ha stravinto nel GP d'Italia.

Giulietta Sprint


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